Gli inizi

1903

Aldo Pasetti nasce a Milano il 15 Luglio 1903. Eredita la dirittura morale, l’arguzia veneta e la battuta pronta ed efficace dal padre Marco, un patrizio veneto nonché uomo vivace e salottiero. Riceve quelle incomparabili doti che sono la gentilezza d’animo, la signorilità dei modi, la lealtà, il coraggio e la generosità dalla madre Giulia de Galateo, bella, mite e colta nobildonna nonché figlia di un notissimo avvocato dell’800 milanese, in amichevole dimistichezza con Edmondo De Amicis. Aldo Pasetti svolge tutti i suoi studi a Milano, dalle elementari, al Liceo Alessandro Manzoni, alla laurea in Giurisprudenza, e comincerà ad occuparsi di giornalismo a 15/16 anni. Alunno del Liceo Manzoni, crea, dirige, scrive e vende il giornaletto ciclostilato La Freccia. Inoltre, scriverà novelle che verranno pubblicate su quotidiani e periodici quali L’illustrazione Italiana, La Tribuna, La Lettura, Il RadioCorriere, L’Illustratore del Popolo, Il Mattino Illustrato, La Rivista del Popolo ed Il Cerchio Verde. A 19 anni, ancora studente universitario, sarà assunto come cronista all’Ambrosiano, un quotidiano della sera diretto da Umberto Notari. Collaborerà con l’Ambrosiano per quattro anni e girerà l’Italia in lungo e in largo inviando al giornale servizi di attualità, di costume, di varietà letteraria, articoli di alto livello molto graditi dai lettori e molto apprezzati dalla critica. Diventerà Presidente della “Dante Alighieri”, una società promotrice della lingua italiana nel mondo, e organizzerà viaggi culturali in stretto contatto con la migliore borghesia milanese.


Il giornalista

1930

Sin da giovanissimo avrà una duplice opportunità: entrare nella redazione del Corriere della Sera o del Popolo d’Italia. Si orienterà, però, verso quest’ultimo in quanto alcuni colleghi più anziani di lui gli avevano fornito una descrizione del “Corrierone” come di un vecchio omnibus, tenebroso e poco dinamico; l’esatto contrario del nuovo giornale di Mussolini che rappresentava l’azione, la modernità, il futuro. Una volta entrato nella redazione del Popolo d’Italia, inizierà per lui un periodo frenetico. Scriverà, infatti, la cronaca cittadina, commenterà gli avvenimenti particolari, tratterà con fine arguzia argomenti di varietà e viaggerà come inviato speciale in molte città del mondo: Italia, Germania, Olanda, Belgio, Francia, Libia, Marocco e Stati Uniti. I suoi pezzi avranno successo non solo per lo stile spigliato ma anche per la tempestività delle notizie. Una visita di più giorni al Vittoriale, insieme ad altri inviati dopo la morte di Gabriele D’Annunzio, gli permetterà di scoprire il manoscritto del romanzo La Bocca Velata, non ultimato e ancora inedito (Piero Chiara scrive della scoperta di Pasetti nella sua biografia dannunziana). La Gazzetta del Popolo di Torino gli affiderà la corrispondenza da Milano e lui, come sovraprezzo, invierà articoli di critica teatrale e di varietà al giornale. Per il “Giovedì” di Milano, diretto da Angelo Frattini, incontrerà i più grossi nomi del Teatro, attori e attrici applauditi in Italia e all’estero quali: Ruggero Ruggeri, Memmo Benassi, Armando Falconi, Dina Galli, Emma e Irma Grammatica, Paola Borboni e Marta Abba. Dalla penna di Pasetti, balzano fuori interviste che sono contemporaneamente un modello di discrezione, di tatto professionale e di eleganza giornalistica. Negli anni che vanno dal 1930 e 1939, collaborerà anche con altre testate scrivendo aggraziati racconti per il Corriere dei Piccoli e originali novelle per la Domenica del Corriere. Nello stesso periodo lavorerà per la Gazzetta del Mezzogiorno di Bari e con lo staff del Dizionario Enciclopedico della Labor. Al Lirico di Milano, scriverà e metterà in scena la rivista teatrale New York Gazette (un quadro anticipa la nascita della televisione) e anche questo lavoro si meriterà applausi ed elogi.


La guerra

1940

Nel Giugno del 1940, il Popolo d’Italia sceglierà Pasetti tra i suoi redattori come corrispondente di guerra. Con il grado di tenente dei bersaglieri, ma con indosso una strana divisa per metà dell’esercito e per metà della Marina, il giornalista 37enne sarà messo a disposizione della Regia Marina Militare. Alle basi incontrerà, anch’essi corrispondenti di guerra per la Marina, gli amici Dino Buzzati, Paolo Monelli, Orio Vergani, Marco Appelius, il giovane Nino Nutrizio anch’esso inviato dal Popolo, Vero Roberti, Achille Benedetti e Mario Bardi. Imbarcato sulla corazzata Giulio cesare – nave ammiraglia – Pasetti si troverà subito nel cuore della battaglia di Punta Stillo (il suo racconto, scritto a caldo durante il furioso e impari combattimento che costringerà in cantiere gravemente colpita la bella nave da guerra, è un capolavoro di descrizione e un gigantesco quadro michelangiolesco). Questo è, certamente, fra i migliori pezzi di Pasetti giornalista di guerra. Per il suo sprezzante e coraggioso comportamento verrà decorato con la medaglia di bronzo al Valor Militare. Mentre il “Cesare” è in bacino per curarsi le orrende ferite, Pasetti, nei tre anni del conflitto, sarà imbarcato sulla corazzata Cavour, sull’incrociatore Pigafetta e su altri unità minori. Nell’ambito di queste operazioni, gli verrà conferita la Croce di Guerra al Valore Militare. Una volta terminato il conflitto, il Popolo d’Italia, il giornale per cui aveva lavorato vent’anni, non esisteva più. Ciononostante, il valore della sua penna rimarrà sempre vivo e gli verrà offerta la remunerativa direzione della Domenica del Corriere: Pasetti, però, non accetta. Il divulgatissimo settimanale politicamente impegnato appare nel territorio della Repubblica Sociale di Salò ma Pasetti non condivide, non giustifica e non approva la spaccatura dell’Italia. Non è nel suo carattere né soffiare sul fuoco dell’odio né tantomeno è il suo mestiere coltivare il seme di una sicura, maledetta guerra fratricida. Tuttavia, il giornalismo è la sua vita e, così, nel ‘45 riprenderà quell’attività da cui si era escluso per due anni. Prima al Corriere di Milano come redattore poi al Corriere Lombardo come direttore della “terza pagina”, verrà, quindi, chiamato da Alberto Mondadori per far parte della redazione che avrebbe fondato successivamente: l’Epoca. Su questa testata, insieme a Cesare Zavattini, progetterà e guiderà la rubrica “Italia domanda”. Riprenderà, poi, a viaggiare come inviato speciale per Settimo Giorno e per Oggi.


Lo scrittore

1968

Ma a questo punto della sua vita, Aldo Pasetti sente il desiderio di spogliarsi delle veste di giornalista per indossare quella di scrittore. Inizierà in sordina con “Storia della navigazione”, dedicata ai ragazzi, e sempre per i ragazzi pubblicherà “Realtà e leggenda”, una raccolta che presenta con acume critico-letterario personaggi della letteratura classica e moderna e uomini di azione contemporanea. Seguirà “Il Generale fara”, un’agile biografia. Nel 1968, già ultrasessantenne, inizierà la sua folgorante carriera di scrittore vera e propria. Omega 9 è un libro, con intreccio romanzesco, sulla Marina Militare nel secondo conflitto mondiale. È la narrazione, sempre fedele, semplice e onesta, dei sacrifici e degli eroismi dei marinai italiani. E Grazzini scriverà su Epoca: “Omega 9 è un lavoro calibrato sui dati più foschi e veritieri di un periodo della storia italiana che, tuttavia, non si lascia né irretire da compromettenti notazioni di diario né tantomeno arrischiare volute invettive ricavate dalla realtà. È un libro vero e palpitante di ricordi nel quale la storia cammina a braccetto con la fantasia, senza né forzature ideologiche né sbavature sentimentali”. Alberto Cavallari, nella sua presentazione di Omega 9 alla Terrazza Martini di Genova, concludeva: “Direi che per la Marina Italiana questo libro significa quello che per gli alpini di Russia ha significato il “Sergente delle nevi” o le “Centomila gavette di ghiaccio” di Bedeschi, proprio perché il linguaggio è così pulito, l’occhio così onesto e nessuna tragedia e nessun dramma vengono strumentalizzati per questo o quell’argomento. Non mi pare che sulla Marina Italiana si siano scritti nel dopoguerra libri così puliti, così onesti e soprattutto con una resa artistica così vera”. Omega 9 si aggiudicherà nel 1969 il secondo Premio Bancarella.


L’Ora delle lucertole

1971

Il 15 Novembre 1971 al Circolo della Stampa di Milano: Dino Buzzati, Luigi Santucci, Francesco Grisi, Carlo Sirtori, Antonio Miotto e il gesuita Padre Luigi Dossi tenevano a battesimo il nuovo romanzo di Aldo Pasetti “L’ora delle lucertole”. Il libro è volutamente ambientato nell’anno 6.010.546.576 dopo Cristo per togliere ogni dubbio al lettore che si tratti di un libro di fantascienza. Sono gli anni di piombo, gli anni bui sulla scia del sessantotto con le piazze piene di giovani arrabbiati e i salotti intasati da cantori del nuovo benessere. Nella trama migliaia di giovani, delusi nei loro ideali, si fanno ibernare. Solo due sopravvivranno e si risveglieranno in un mondo nuovo. La terra non è l’Eden ma un pianeta devastato dalla catastrofe dove la natura ha ceduto il passo alla tecnica. Gli uomini non hanno più necessità materiali ma sono svuotati, inariditi, annullati. Scrive Dino Buzzati: “Non vi spiegherò di quale pazzo viaggio si tratti, né di quali strepitosi prodigi Aldo Pasetti sia stato testimone. È tutta una materia di fronte alla quale la cosiddetta critica ha così poco a che fare. Non resta che stare ad ascoltare incantati”. Quasi a dare una spiegazione al suo fantasmagorico viaggio, Pasetti dice: “Nell’infinito si può penetrare anche avvolgendo un foglio di carta a cannocchiale, per contemplarlo; anche alzando un semplice aquilone, per volare. Calcoli, formule, cifre, non hanno peso né valore. Nell’infinito si può galoppare in groppa a un raggio di luce: il raggio che filtra libero dalle nostre persiane, non quello intercettato dallo spettroscopio. È tutto, lettore. Se cerchi rigori di scienza o di fantascienza, disingannati. La scienza impone dei limiti che questo libro rifiuta.


Le altre opere

1974

Versione in russo de "Il Balcone"

Nel 1974 esce con Mursia il suo ultimo “Il Balcone”. In quegli anni sequestri, ferimenti e assassini sono all’ordine del giorno. Pasetti s’ispira appunto a un ipotetico fatto di cronaca: il rapimento di un ragazzo. Il tragico e amaro epilogo, un sigillo a sottolineare la crudeltà degli uomini, lascia senza fiato. Il critico letterario Pietro Bianchi scrive: è un romanzo “singolare”, “demoniaco” perché svolge una tesi che ha pochissimi precedenti nella nostra letteratura: la lotta fra il Bene e il Male. Il titolo, dice l’autore, ha un significato importante. Questo balcone è un occhio aperto sulla vita, è un occhio aperto sul mondo dei miei protagonisti, dagli inizi della storia fino al precipitare in tragedia. È come un obiettivo di macchina fotografica, è il muto impassibile spettatore e testimone di una serenità che dilegua”. La vedova Maria, preziosa e amorevole compagna di una vita, pubblica dopo la sua scomparsa una raccolta di racconti sotto il titolo “Il Miracolo della Torre Velasca”. Sono ventisei affascinanti bizzarri componimenti letterari; racconti allegorici, surreali, futuribili che hanno in comune una sottile perfida vena d’ironia amara. “Vanno letti tenendo conto che il surreale è semplicemente una maschera che copre il volto della realtà: scrive C.M. Pensa (Epoca-Milano) perché quasi tutte queste “favole” rispecchiano fatti realmente accaduti”. E ancora: un “nero cupo”, scrive Piero Cimatti sul Messaggero di Roma, tinge le pagine del Miracolo della Torre Velasca, e particolarmente tinge le sue parti migliori, ma non è il nero morboso che respinge e avvelena, per contagio, il lettore; al contrario, gli apologhi e le moralità surreali di Aldo Pasetti sono, anche nei momenti di più esplicita denuncia, combinati a un tono di farsa, di fiaba, di trasfigurante innocenza, che ne fa una lettura serena. Pasetti, direi, seppe unire il tossico delle sue descrizioni del mondo inabitabile con il lenitivo della sua bonaria poesia di un uomo di altri tempi, non succube dell’orrore, non testimone passivo del male, non vinto dal tempo del cinismo, che vide avanzare sulla sua Milano.


Le “Poesiole”

Come nessuno scrittore di prosa abbia mai resistito alla tentazione di scrivere poesie, anche Pasetti ne fu contagiato. Fu la moglie Maria, custode sempre vigile del lavoro del marito, che un giorno, riordinando un cassetto della scrivania, trovò una cartelletta con la scritta “Poesiole”. Erano meno di una dozzina ma tutte di un certo valore artistico e vennero raccolte in un librettino quale ultimo sigillo del lavoro di suo marito.

La breve raccolta si apre con queste parole tratte dal suo testamento spirituale:


“…mi sentirete sempre vicino
perché non si può amare tanto
senza che una parte di questo amore
sopravviva e aleggi sulla terra
sulla terra con voi…”

Quale esempio della sua lirica ne citiamo alcune premiata dall’Accademia culturale d’Europa. La “Tana” esprime il rammarico per le belle speranze svanite:


Passato il tempo felice
dei liberi voli
nei cieli
della speranza
si rintana sempre più
negli alveari scuri
della terra,
cercando solitudine,
come in un grembo materno,
al quale a poco a poco
si ritorna.

Nella “Piccola Favola” aleggia, dolcemente triste, il pensiero della morte:


ci sono giorni
di mezza estate
in cui l’erba
del camposanto
nella silente frescura,
sembra alitare
sul volto dei morti.
Lucertole
scorrono felici
sulla pietra e sul marmo,
o impigriscono al sole.
Signore,
s’io potrò cogliere
quel soffio leggero
e il casto passo
delle lucertole,
sarà compiuta
e perfetta
la piccola favola della mia inutile vita.

In quest’ultima poesia “Lo Strascico”, esprime un afflitto desiderio che, stranamente, avrà il suo compimento.


Vorrei
che la morte avvenisse
come un sonno vendicatore
della guaste immagini
del giorno.
vorrei
che la morte venisse
come un desiato sonno,
nel quale si adagiano
i sensi e la memoria.
vorrei
che la morte venisse
come un velo bianco
di sposa,
che dolcemente copre ogni forma
e lento dilegua
nello strascico.

E la morte lo ha accontentato: egli è spirato, dolcemente, seduto accanto alla moglie.


Aldo Pasetti, giornalista, corrispondente di guerra e scrittore